mercoledì 23 settembre 2020

La Cura passa anche da un moschettone

Quando Denis ci aveva comunicato il ritrovo a Lecco alle 7,30, avevo pensato che fosse un fanatico, ma quando poi la sera prima ha anticipato il ritrovo ALLE 7 DI DOMENICA ho pensato: ma questi non sono dei bigotti della montagna, questi sono estremisti, questi sono pazzi!!! Avrei dovuto intuire qualcosa quando il secondo giorno della vacanza sulle Dolomiti ho dovuto puntare la sveglia alle 4... eeeeeh povera ingenua.

 

Torniamo a noi. Sveglia alle 5,12. Disagio. Non uso la macchinetta ma faccio il caffè solubile, lavo i denti con lo spazzolino normale e non con quello elettrico, il tutto per fare meno rumore possibile. Disagio. Nell’andare alla macchina, le uniche persone che incontro sono dei ragazzi belli allegri che tornano da una serata. Disagio.

Arrivo al ritrovo al parcheggio della funivia dei piani d’Erna (610 m) puntualissima alle 7, pensando che dato che sicuramente gli altri avrebbero dovuto aspettarmi tutto il giorno visto il mio passo più lento, quantomeno non mi avrebbero aspettato alla mattina. E infatti ho aspettato io mezzora che arrivassero tutti.



Figa taaaaaac, il gruppo si compatta e si parte!! Ci mettiamo in coda per la funivia… AHAHAHAH NO, imbocchiamo il sentiero. Si comincia con una salita nel bosco, devo dire resa molto piacevole da un tasso di umidità relativa del 200 %. Arriviamo al primo pit stop al Rifugio Ghislandi (1284 m), giusto il tempo per asciugarci il sudore che cola come una cascata dal ghiacciaio in primavera, e ci diamo alla vestizione. È lì che mi sento finalmente una donna indipendente e montanara: Filippo mi stringe l’imbrago, Marco mi porta le racchette, Mattia mi lega i moschettoni, Denis mi ricorda che ce la farò, Luca mi chiede come mi chiamo ed Ernesto… si sistema il ciuffo.

 

Si riparte!! Filippo in testa, arriviamo finalmente all’attacco della Ferrara del Centenario. Alzo gli occhi e vedo una serie infinita di gradini in metallo infilzati in una roccia verticale. Ve lo giuro, era verticale. Penso che non ce la farò mai ma è troppo tardi per tirarsi indietro: mi hanno già fatto una foto col caschetto. Denis, il motivatore della giornata, vede la mia faccia preoccupata e fa:” tranquilla, POI SPIANA!” . Giuro, non ha mai spianato.



 



 

E cosi inizio ad imparare che ci sono una serie di regole non scritte in montagna, tipo che se smouvo dei sassi non devo urlare “Scusate” ma “Sasso”, oppure che non devo alzare la catena se è tra le gambe di un ragazzo davanti a me… robette così insomma.




Arriviamo alla fine della prima ferrata, ci ricompattiamo, ma purtroppo il tempo non è dei migliori, e qualcuno di noi teme un temporale improvviso.





I guru del gruppo studiano forma e colore delle nuvole, ed emettono il verdetto: ci si può fidare a fare anche la Ferrata Silvano De Franco.

Oh, sai che c’è, mi dico… sono in ballo, balliamo! Questa seconda ferrata mette nettamente più alla prova tutti, sia per la carenza di appoggi per i piedi, che per la ripidità.





 Ed è proprio nel momento del bisogno che il gruppo si fa sentire più vicino e compatto che mai. Continui incitamenti, gesti di cura, attenzioni a chi è più lento… insomma, nessuno viene lasciato indietro, nessuno si sente inadeguato, ma accolto aiutato e seguito passo passo!

Arrivare alla cima del Resegone è una gran bella soddisfazione, arrivarci tutti insieme è ancora più bello!!!







Nel ritorno respiro un’aria di festa, non tanto perché finalmente l’umidità non è più quella della pianura ad Agosto, ma perché questa giornata mi ha lasciato nel cuore una nuova consapevolezza… i limiti più grossi sono quelli che ci imponiamo da soli, e le persone con cui si cammina fanno la differenza.

E quindi, se non ne ho ancora detti abbastanza… ancora un GRAZIE gigantesco ai miei compagni di viaggio per avermi insegnato con un moschettone e una corda cosa vuol dire prendersi cura dell’altro!!! 


Grazie!


                                                                     Marta

 


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