giovedì 28 giugno 2018

Due giorni in Val Veny: storie di salti nel vuoto, pomodorini e di un QUASI Petit Mont Blanc


By Clarelli (Clara + Gerelli)


La cronaca di questa straordinaria due giorni mulesca in Val Veny inizia con un’immagine quantomeno prosaica: io che, alle 22.00 di venerdì sera, vestita da yoga (con i pantaloncini a fantasia di elefanti, per intendersi) tra gli scaffali illuminati al neon del Carrefour, cerco di procacciarmi qualcosa per il banchetto degli dei del giorno dopo e ripiego su un chilo di pomodorini.

Eppure, un po’ così a caso, quei pomodorini avrebbero riscosso un certo successo tra i Muli accaldati in cima al Mont Fortin! Danielo avrebbe anche raccontato una barzelletta che stento a ricordarmi ma che contiene un mantra indimenticabile: “Noi siam pomodorini, siam belli e siam carini”.


A volte le cose un po’ a caso riescono talmente bene da farci luccicare gli occhi per giorni!

Era marzo quando Clara mi disse che erano aperte le iscrizioni per la gita in Val Veny: io non sapevo dove fosse la Val Veny e non ero mai uscita con la MULA però dissi di sì, feci un bonifico di 15 euro a un tale Giacomo Gervasoni e fui inserita nella lista dei partecipanti. Qualcuno forse all’epoca si domandò “Ma idda???”.

E poi erano circa le 10.00 di sabato 23 giugno, il sole splendeva perfetto su La Visailles e noi, un numero tendente a più infinito, eravamo pronti a metterci in marcia verso il rifugio Elisabetta, passando prima dalla cima del Mont Fortin, a 2760 m. Una sorta di palchetto d’onore con vista sulla Val Veny, Val Ferret, l’Aguille Noire, mille altri monti, e valli, e rocce e soprattutto su sua maestà il Monte Bianco.

Dopo un appello quantomeno sommario, la salita è stata audace, affrontata da tutti con spirito combattivo tra nevai e guadi. Le soste sono state quasi solo quelle per delle foto artistiche.




Giunti in cima, il banchetto degli Dei, ancora una volta, era degno del suo nome. Eravamo in  una location talmente da sogno che da un momento all’altro mi aspettavo che Zeus mi chiedesse un altro pomodorino. Forse l’ha fatto ma io devo averlo scambiato per Brusa...

Chiaramente Zeus

Piattini pigotto alfa con 4 Chedddonne



Riprendiamo il cammino. Il sentiero ci porta prima su una larga cresta e poi verso altri nevai da attraversare trasversalmente. Inizialmente tutta questa bella neve estiva ci piace molto, qualcuno si diverte addirittura a scivolare fino in fondo al nevaio. Ma la cosa prende una piega ben più sinistra quando ci imbattiamo in un anziano signore inglese, visibilmente infortunato, che aspetta i soccorsi dopo essere scivolato da un nevaio particolarmente infido.

Siamo tutti un po’ tesi, anche una volta scollinato nella valle del rifugio, perché di nevai infidi ne troviamo diversi. Alcuni addirittura dobbiamo aggirarli scendendo per diversi metri sulla pietraia.

È già tardo pomeriggio quando finalmente giungiamo nel grande pianoro dove scorre un roboante torrente di fusione. Finalmente possiamo camminare agevolmente e guardarci intorno!

Il sole delle sei di un pomeriggio di giugno illumina d’oro i prati e i nevai, si nasconde dietro un costone e lancia ombre in alta definizione, il torrente sembra argento liquido. Qualche fiore e cespuglio di rododendro aggiungono un colore a questa tavolozza irripetibile.






E io penso che facendo solo un piccolo minuscolo salto nel vuoto, accettando di venire a scatola chiusa a questa due giorni, ho guadagnato due giorni di bellezza! Bellezza di questa valle, bellezza di questa camminatona power, bellezza dei compagni di avventura super presi bene!

Seduti a cena, Clara, Fra Navoni e Luchino cercano di convincermi a fare un altro salto: accettare i ramponi e la picozza di qualcuno che rinuncia e tentare anch’io la grande impresa del giorno dopo. Erano molto ma molto vicini a riuscirci...

Ma quella che lo ha fatto questo salto è stata Clara. Le passo quindi il microfon... ops... la tastiera per il racconto di questa avventura!
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Inserto: cronaca del QUASI Petit Mont Blanc by Clara

Il programma della 2 giorni prevedeva un’ambiziosa alpinistica per la domenica. Necessaria esperienza e attrezzatura, ma anche voglia di svegliarsi in tempo per fare colazione alle 4 e partire.

La cronaca di questo tentativo parte necessariamente la sera prima. Molti, forse tutti, tra coloro che si erano candidati alla missione, appaiono poco convinti, si adducono scuse varie “forse domani il meteo non è bello”, “forse meglio dare fondo alle grappe questa sera” (scopriremo solo in seguito come una cosa non escluda l’altra). Ma nessuno si vuole prendere la responsabilità di essere il primo a tirarsi indietro e far saltare la cosa. Così, più per orgoglio che per convinzione, dopo un rapido sguardo al meteo di Chamonix si decide: domani si va, ore 4.00 colazione, 4.30 con le frontali fuori dal rifugio pronti a partire.

Il buon senso vorrebbe che dopo il briefing serale alle 10.00 circa tutti a nanna a recuperare forze per l’indomani. La realtà è che la scemenza è più forte e in vari pensano che il modo migliore per prepararsi sia assaggiare ogni genere di alcool presente. Ci si mette anche una replica del mitico racconto de “Il Bolla al Legnone”, raccontato dalla viva voce del protagonista in maniche corte alle 11 di sera fuori dal rifugio Elisabetta, a rendere irrinunciabile la permanenza al tavolo grappe fino a mezzanotte.

Alla colazione delle 4 chi ha dormito al secondo piano parla di una notte insonne, terribile. Ste Riva sostiene che i rifugisti ci stiano somministrando thè disidratante perché più ne beve, più ne berrebbe. Ci fa compagnia anche Michele Suraci, che, sebbene non sia tra i partenti, gironzola per la sala colazione, confermando che nella camerata al 2 piano non si riesce a chiudere occhio.

Alle 4.30 tutti pronti ad partire, ai blocchi di partenza ci sono Brusa, FraNavoni, Luchino, Loris,  FilippoBianchi, Paolino, Ernesto, DavideMadiotto, RivaSenior, Gerva, FedeCorti, ClaraMe, AriLongo, LucaFerrari e StefanoMeroni.  



La beffa è che si debba scendere e perdere quota attraversando tutta la piana di Combal per poi risalire nel vallone del Petit Mont Blanc. Luchino lancia l’anatema “Qui sarà una gara ad eliminazione” e così sarà.



Il primo a desistere è RivaSenior, i rifigusti l’hanno avvelenato con del finto caffè che non ne vuole sapere di rimanere nello stomaco. Imbocchiamo lo stretto e ripido vallone, qui è FedeCorti che si stacca, causa la sua religione che le vieta il recupero in settimana delle mazzate del weekend ;-)

Durante la salita in vari riconoscono che effettivamente camminare alle 5 di mattina in hangover su un sentirero così non sia il massimo, ma chissà cosa gli ha detto la testa la sera prima.

Arrivati al momento di mettere i ramponi, i più seri e decisi sul da farsi sono Paolino, Ernesto e FilippoBianchi che dicono che torneranno indietro e cosi fanno. Tra gli altri inizia un teatrino: Loris dice che non ce la fa e si ferma lì è soddisfatto così, fa eco Brusa che riconosce la quantità di grappa ancora in corpo e che dice che ripiegherà, io mi dico a voce alta “Clara abbassa la testa, via l’orgoglio e torna indietro”. Passano 9 secondi e mezzo e basta un “Ho cambiato idea” del Bello, al quale va dietro a ruota Brusa, per poi  convincere prima dello scoccare del 32° secondo anche me e il sopraggiunto Gerva che si può provare.  Che dire?! L’importante è avere le idee chiare ;-) Indossati ghette, ramponi, caschi e imbraghi partiamo. 




La neve tiene bene, ma per non farci mancare niente proviamo anche un po’ del fatidico misto. I più pro fanno passaggi difficili, tutti si sentono dire “fidati delle punte”, ed incredibilmente è vero: tengono e si sale! 



Gerva e Brusa a quel punto tornano indietro. Sbucati dalla roccette si monta la cordata Cambiaghi, Didoni, Navoni; ho evidente bisogno di qualche sicurezza in più (compresa quella di non rischiare il trascinare il peso piuma Luchino giù dal nevaio per via di una mia caduta). Un po’ di paura c’è, ma legata, sentendomi dire che la corda deve stare tesa, la picca a monte e altre cose dalla parvenza pro, mi faccio coraggio e mi diverto pure.



Gli altri procedono slegati e a vista si trova la traccia tratto dopo tratto. Grandissima AriLongo che sale agile e slegata fino in cima! Riusciamo a sbucare su una sella dalla quale si vedono cime spettacolari e il rifugio Elisabetta parecchio sotto di noi. Decidiamo che il tentativo si conclude lì: alle 8.15 a più o meno 2800mt, ben al di sotto del Petit e senza raggiungere il bivacco e che quello rimarrà un “Quasi Petit Mont Blanc”.



I QUASI della giornata: QUASIsobri, QUASIpro, QUASIveritieralarecensionedellitinerario, QUASIbivacco, QUASIalpinismo, QUASItuttisu, QUASIriuscivoanonfarmintortareascrivereanchequestoarticolo.

Ma è incredibile come anche con dei QUASI ci si possa divertire, fare qualcosa che non si era mai fatto e alzare anche se di poco l’asticella! La prossima volta però si fa su serio!
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...Ma mentre i nostri prodi Muli tentavano la vetta e già da ore camminavano, il grosso del gruppo era preso nella missione altrettanto impossibile di svegliarsi, fare colazione senza crollare faccia nella tazza di caffè, preparare lo zaino e partire alla volta del Col de la Siège, che segna il confine con la Francia.

Fuori dal Rifugio Elisabetta alle 6.30 di domenica


Alle 9.00 circa, un gruppetto è fuori dal rifugio. Danielo ci vende l’escursione al Col de la Siège come fosse Mike Bongiorno che vende un materasso Eminflex su Rete4. Se non ha lo sbatti lui... Ci contiamo: dovremmo essere in 29. Siamo in 14, bene ma non benissimo. Forse qualcuno è tornato a letto, qualcuno si sta truccando. Qualcuno ancora sta contando i granelli di polvere inalati durante la notte.

Lasciamo gli zaini sotto un sasso poco sotto il rifugio per non dover rifare quel pezzetto di salita e partiamo.

Il panorama è sempre bello: il cielo perfetto di ieri ha lasciato il posto a un’atmosfera nuvolosa che rende le montagne più altere ma non per questo meno belle.

Facciamo una rapida sosta alla casa in montagna di Claudiano per una piccola merenda e, giunti in cima, ci lanciamo in un atto di patriottismo. Una bella foto di gruppo sorridente sul lato italiano. Una foto con facce affrante sul lato francese. A voi l’ardua sentenza, ma secondo me Giroletti vince il premio di miglior photobomber.



Una sciura francese fiuta lo sgamo e minaccia di bomberarci lei la foto con un bel dito medio. Si rischia la crisi diplomatica, ma noi ci affrettiamo a lasciare il territorio francese e scendiamo a valle.

Mentre scendiamo ci giunge notizia che i prodi hanno compiuto l’impresa e sono già spiaggiati ai 
laghi del Miage mentre noi siamo ancora in alto mare, o meglio in alta montagna: la nostra inettitudine è massima e cerchiamo di darci una mossa giù per il sentiero.

Avrei scoperto solo dopo aver complimentato gli eroi che l’impresa era in realtà naufragata.

Ma in fondo si può chiamare davvero sconfitta il risultato di essere tutti pacificamente stanchi a mangiare e prendere il sole su un bel prato montano in un meriggio estivo??? Piedi nudi dopo tanto camminare, tepore, caffè, scuse povere sul perché la cima non fosse stata raggiunta...

Voglia di rientrare: non pervenuta.

Anche perché questa gita con la MULA, per me, sarà l’ultima prima di una luuuunga estate randagia. Sto per fare un altro bel saltello nel vuoto, proprio sull’altro versante del Monte Bianco! Spero che vada bene come questa due giorni!

Ma quando in macchina al ritorno ci è apparso un arcobaleno, ho pensato che non era una stella cadente ma che avevo comunque diritto a un desiderio: ho espresso quello di ritrovare questi Muli a settembre presi bene, carichissimi, pazzi veri, esattamente come li avevo appena lasciati!

Insomma, per riassumere...
#occhiochetorno
#laprossimavoltavengoanch’ioincima
#bastascusepovere
#dopoquantiarticolisivinceunamagliettadellamula?

E poi ovviamente:

W LA PRESABBBENE
W I SALTI NEL VUOTO
W LE IDEE CHIARE
W I TENTATIVI
W I POMODORINI
W IL SOLE DEL SOLSTIZIO
W LE FACCE BELLE
W IL PRESIDENTE
W LA MULA


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